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Sostenere il sistema imprenditoriale italiano

È indispensabile rimuovere i vincoli strutturali che limitano la crescita economica e liberare le forze produttive dell’Italia, creando le condizioni necessarie per consentire alle imprese di svilupparsi e competere a livello internazionale. Gettare le basi per una crescita economica sostenuta e duratura del sistema nazionale è l’unica strada per garantire il benessere dei cittadini e migliorare i fondamentali dell’economia italiana.

Sostenere chi fa impresa e crea ricchezza e posti di lavoro in Italia. Restituire all’Italia una strategia industriale: favorire catene di approvvigionamento sicure, in particolare nei settori strategici, privilegiando filiere non troppo estese e accordi con Nazioni alleate e affidabili. Supportare la riconversione di attività in difficoltà in settori che valorizzino il “Marchio Italia”, quale punto di forza della nostra economia. 

Puntare sulla “economia blu” e cioè sulla eccezionale collocazione geografica dell’Italia, vera e propria piattaforma naturale nel Mediterraneo, mettendo a sistema tutte le filiere economiche connesse ai nostri mari, dalle attività portuali, alla logistica, alla nautica, alla pesca. 

Sostenere e proteggere il tessuto produttivo: incentivare la rilocalizzazione delle attività produttive in Italia e disincentivare le delocalizzazioni; contrastare con determinazione la concorrenza sleale e le pratiche elusive del trasferimento delle sedi aziendali nei paradisi fiscali europei; potenziare gli strumenti per stimolare e incentivare la canalizzazione del risparmio privato verso il finanziamento  dell’economia reale, in particolare nelle Pmi; favorire la partecipazione dei lavoratori agli utili e alla governance d’impresa; agevolare mediante incentivi e detassazioni la continuità d’impresa; favorire il ricambio generazionale dei Consigli d’Amministrazione delle aziende familiari. 

Razionalizzare il sistema degli incentivi alle imprese che oggi consta di oltre 1.400 interventi agevolativi nazionali e regionali. Favorire l’accesso al mercato dei capitali semplificando gli adempimenti per chi decide di quotarsi in Borsa. Rendere strutturali incentivi e crediti d’imposta per investimenti tecnologici e spese di ricerca e sviluppo. Potenziare il sistema di governance della gestione delle crisi aziendali e dei processi di reindustrializzazione di aree e filiere produttive. Agevolare l’accesso al credito delle piccole e medie imprese potenziando il Fondo di garanzia per le Pmi. Favorire la crescita dimensionale delle piccole e medie imprese. Semplificare norme e burocrazia per le aziende, ridurre e velocizzare gli adempimenti, introdurre la piena e immediata compensazione dei crediti che queste vantano nei confronti della PA con debiti tributari e contributivi.

FOCUS SOSTEGNO AL MONDO PRODUTTIVO

Il fenomeno della delocalizzazione di processi produttivi all’estero da parte di imprese presenti sul territorio italiano, ormai in atto da tempo, ha comportato e continua a comportare un lento e progressivo depauperamento del nostro sistema produttivo con pesanti ricadute in termini occupazionali e di ricchezza creata sul territorio d’origine, di fuga di investimenti e di capitale finanziario e umano. Gli effetti negativi non si limitano, infatti, all’azienda che delocalizza, ma si estendono all’intero indotto produttivo, costituito il più delle volte da imprese specializzate nel supportare con prodotti, servizi e forza lavoro l’impresa che sposta la produzione all’estero.

Fratelli d’Italia propone di introdurre incentivi fiscali per il rimpatrio di attività produttive in Italia (il cosiddetto reshoring), come il super-ammortamento ai fini fiscali delle attività oggetto di rimpatrio e  agevolazioni correlate al costo del lavoro sostenuto nel nostro Paese. In questa stessa prospettiva si favoriranno forme di collaborazione con l’Amministrazione finanziaria volte a offrire la massima certezza del diritto.

La sottocapitalizzazione e la sottodotazione di mezzi finanziari propri, limitando fortemente la capacità di realizzare nuovi piani d’investimento e di sviluppare nuovi progetti aziendali, rappresentano due ostacoli alla competitività e alla crescita dimensionale delle imprese italiane. Le ragioni di questa modesta capitalizzazione, in particolare delle PMI, sono da ricercare nella forte dipendenza dal sistema creditizio bancario che, storicamente, ha sempre rappresentato la principale fonte di finanziamento del nostro sistema produttivo.

Per ovviare a ciò, attraverso la leva fiscale e attraverso il potenziamento di strumenti esistenti quali i Piani individuali di risparmio (PIR), è necessario indirizzare il risparmio privato, garantendo adeguate tutele e trasparenza, verso il mondo delle imprese e verso l’economia reale, con il duplice vantaggio di aumentare la competitività e il valore delle piccole e medie imprese italiane, riducendo  il rischio di essere rilevate a prezzo di saldo da parte di imprese straniere. In un contesto di forte inflazione come quello attuale, strumenti come i PIR possono inoltre rappresentare una tutela del risparmio e del potere d’acquisto.

Per fare in modo che questi capitali non si fermino alle società quotate ma raggiungano con maggiore facilità anche il tessuto delle imprese di medio-piccole dimensioni è ipotizzabile una loro canalizzazione attraverso fondi dedicati, sottoscritti da piccoli investitori propensi ad investimenti di ridotta entità e incentivati dalla piena detassazione dei profitti realizzati.

Il sistema imprenditoriale e il mercato del lavoro italiano esprimono la necessità e l’esigenza di supportare e agevolare il ricambio imprenditoriale e professionale. Il problema della successione d’impresa riguarda sia le micro e piccole imprese, spesso a carattere familiare, sia le medie e grandi imprese che, per fatturato e numero di occupati, giocano un ruolo fondamentale nell’economia italiana.

Secondo un’indagine di InfoCamere basata sui dati del Registro Imprese delle Camere di Commercio, l’imprenditoria italiana “invecchia” sempre di più: nei dieci anni dal 2011 al 2021 l’imprenditoria del Paese ha spostato il proprio asse verso le classi di età più elevate, penalizzando i più giovani. In un decennio, gli under 30 con cariche di titolare, socio o amministratore sono diminuiti di circa 130mila unità (-23% in dieci anni), nella successiva classe 30-49 anni la diminuzione è stata di ben 1,2 milioni (-28%).

È necessario potenziare gli strumenti volti a favorire la successione in azienda, necessari anche per prevenire l’insorgenza di crisi dovute al fenomeno della cessazione dell’attività da parte dell’imprenditore, puntando su incentivi fiscali e agevolazioni per il subentrante e per il cedente, e abbinando, in particolare per le PMI, laddove possibile, anche periodi formativi e di affiancamento in azienda con l’imprenditore uscente. Come fare? Prevedendo la completa esenzione Irpef sull’indennità di disoccupazione anticipata ai lavoratori che intendono utilizzarla per subentrare all’imprenditore/datore di lavoro; definendo processi e strumenti di supporto alle operazioni management buyout anche in relazione alla possibile partecipazione al capitale di società finanziarie pubbliche e private; promuovendo operazioni di workers buyout anche attraverso una rapida emanazione dei provvedimenti attuativi riferiti agli strumenti già previsti (quali ad esempio quelli necessari ad attivare le misure di cui all’art. 1, commi 270-273, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, Legge di Bilancio 2021).

È necessario rafforzare il coordinamento politico e tecnico tra MLPS e MISE in riferimento alla gestione delle crisi aziendali e ai processi di reindustrializzazione (integrazione strumenti politiche attive/passive del Lavoro e misure economico /finanziarie).

Bisogna definire con le Regioni una modalità di gestione coordinata e complementare delle crisi aziendali, con monitoraggio periodico, la condivisione delle buone pratiche adottate in ambito nazionale e regionale e l’allineamento degli strumenti di intervento.

Va costituita una cabina di regia con le Parti sociali sulle situazioni di crisi aziendali di dimensione rilevante, per la riqualificazione e/o riconversione delle grandi filiere produttive e sulla condivisione buone pratiche.

Si devono rafforzare il coordinamento delle Direzioni del Ministero dello Sviluppo economico che si occupano di Crisi e di Incentivi per le imprese (anche attraverso il Comitato Attrazione Investimenti Esteri-CAIE) con il MAECI e gli altri Ministeri ed enti (Invitalia, ICE-ITA) che si occupano di attrazione di investimenti esteri allo scopo rendere più efficace l’azione in relazione agli specifici interventi di reindustrializzazione, e il presidio politico/tecnico nel confronto con gli Organismi comunitari e nazionali e nell’elaborazione di norme comunitarie e nazionali in tema di aiuti di Stato in grado di supportare i processi di reindustrializzazione.

Sul piano delle politiche attive e passive del Lavoro: serve un rifinanziamento permanente della cosiddetta CIGS “per cessazione” in presenza di piani per “reindustrializzazione e politiche attive”, introdotta col “decreto Genova” del 2018 (in scadenza a fine 2022) e sperimentata con efficacia in molteplici situazioni in questi ultimi anni. Occorre definire specifici strumenti di politica passiva e attiva del lavoro per sostenere le diverse tipologie di interventi di reindustrializzazione e intervenire con progetti di formazione mirata al mantenimento dell’occupazione o con servizi mirati di reskilling e rioccupazione, coinvolgendo le imprese del territorio. Le aziende che reindustrializzano vanno supportate con la definizione e il riordino di strumenti come esenzioni fiscali (ad esempio  le imposte di registro sugli immobili ceduti), esenzioni contributive (riferibili ai lavoratori assorbiti), contributi economici (ad esempio la quota di Cigs non utilizzata per l’assunzione del lavoratore sospeso).

Oltre alla riduzione del costo del lavoro, per favorire la competitività del sistema produttivo italiano ed accrescerne la produttività è necessario incentivare gli investimenti delle nostre imprese.

A tal proposito, Fratelli d’Italia intende favorire nuovi investimenti prevedendo: per i soggetti IRES, una riduzione fino a 9 punti percentuali dell’aliquota applicabile su una quota di utili proporzionata all’investimento in capitali; per le imprese soggette ad IRPEF, un beneficio equivalente garantito attraverso un meccanismo di maggiori deduzioni.

Parallelamente, FdI ritiene necessario potenziare e semplificare gli strumenti fiscali già esistenti volti a supportare gli investimenti delle imprese, ripristinare alcune misure di Industria 4.0 per stimolare l’innovazione tecnologica all’interno delle aziende, oltre a rendere strutturali incentivi e crediti d’imposta per investimenti tecnologici e spese di ricerca e sviluppo dedicati alle piccole e medie imprese.

La nostra Costituzione prevede esplicitamente la partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione e ai risultati di impresa, mediante il coinvolgimento negli organi gestionali o mediante il possesso di azioni e diritti di voto.

Per incoraggiare meccanismi partecipativi reali in un Paese contraddistinto dalla piccola impresa occorre prevedere sgravi mirati per le aziende che coinvolgano i lavoratori nella governance, oltre che potenziare la decontribuzione riconosciuta ai premi di produttività aziendali, quando concordati in aziende ove esistano meccanismi di partecipazione.

La sfida per il futuro è quella di tornare padroni del nostro destino, limitando il più possibile la dipendenza da Paesi terzi.

La pandemia e la guerra in Ucraina hanno mandato in crisi il modello produttivo degli ultimi anni, mettendo in luce tutte le criticità di un sistema incentrato su catene di approvvigionamento troppo estese, le cosiddette supply chain globali, divenute nel tempo sempre meno controllabili e sempre più interconnesse, con la conseguenza che crisi locali, settoriali o rallentamenti di qualche anello della catena finiscono ormai per diventare un problema globale, creando strozzature nelle catene produttive di tutti i Paesi che sono dipendenti da quelle forniture.

Siccome non possiamo rischiare che un anello della catena si spezzi, è necessario ripensare il nostro modello produttivo e le nostre catene di approvvigionamento in ottica strategica, mirare progressivamente all’autosufficienza, almeno nei settori fondamentali. Per fare ciò, il primo passo deve essere quello di prendere consapevolezza delle interdipendenze della nostra economia e di quelle dei diversi settori produttivi.  È da lì che bisogna partire, individuando e attuando la migliore strategia per ognuno di essi.

Localizzare le catene di approvvigionamento è una scelta politico-strategica che consente ai governi e anche alle imprese di avere un maggior controllo delle supply chain e una minore dipendenza dall’estero. La priorità è attivare innanzitutto catene di approvvigionamento più corte, nazionali. Quando ciò non è possibile per via, ad esempio, dell’assenza in Italia di alcune materie prime o tecnologie produttive, la prima alternativa da percorrere è quella del friend-shoring, ovvero tentare di riorganizzare le catene di approvvigionamento in Nazioni alleate e amiche che condividono il nostro sistema di valori e il nostro posizionamento geopolitico, quindi principalmente nei Paesi occidentali. Questa scelta riduce il rischio di essere esposti a ricatti da parte di Paesi poco affidabili o non allineati alle nostre posizioni, proprio come sta accadendo con le forniture di gas da parte della Russia.