Tregua fiscale, saldo e stralcio delle cartelle
La pressione fiscale, in Italia, ha raggiunto livelli insostenibili. Rapportando il gettito di tasse e imposte al prodotto interno lordo emerge un’incidenza media del 42.6%. Significa che quasi la metà dei nostri sforzi produttivi viene letteralmente fagocitata dal Fisco. Un’erosione progressiva e implacabile, che mal si combina con livelli di crescita che dal 2008 oscillano intorno allo zero e con la pandemia sono precipitati al -8,9%, contro una media mondiale del -6%. Proprio quando sembrava fossimo riusciti a riemergere dall’incubo recessivo, con le riaperture post Covid e l’arrivo del Pnrr, l’affacciarsi della guerra russo-ucraina ci ha fatto di nuovo avanzare verso l’orlo di un pericoloso precipizio: il rischio “stagflazione” (stagnazione economica con aumento dei prezzi di materie prime, beni e servizi).
Insomma, da più decennio viviamo in una condizione di sofferenza generale e stratificata, una sorta di malattia cronica, che le misure palliative adottate dai precedenti governi non hanno saputo curare. Sintomi evidenti di questa situazione patologica sono i 955 miliardi di euro di debiti accumulati da 17,4 milioni di italiani con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Circa il 40% delle somme in questione è difficilmente recuperabile, stando alla panoramica offerta dal direttore dell’Agenzia, Ernesto Maria Ruffini, nel corso dell’audizione alla Camera del 22 aprile 2020. A fronte di ciò, le risposte dell’allora governo giallorosso si sono tradotte in interventi spot, tra procedure transattive temporanee e rinvio delle scadenze fiscali. Così facendo, si è finito con il posticipare i problemi dei contribuenti che, ora, si ritrovano a doverli affrontare in un contesto ancora più difficile rispetto a quello in cui sono maturati.
Bisogna interrompere questo circolo vizioso con un’azione strutturale capace di ricucire l’ormai logoro rapporto tra Fisco e contribuenti, producendo benefici per entrambe le parti in gioco.
Fratelli d’Italia intende sancire una tregua fiscale con i cittadini, in modo da consentire loro di regolarizzare il rapporto con il fisco e poter tornare ad essere lavoratori e contribuenti che partecipano alla ricchezza complessiva della Nazione.
In attesa del completamento della due diligence del magazzino della ex Equitalia, occorre disporre l’automatico stralcio integrale di posizioni assai datate (perlomeno ante 2015) e di importo inferiore ai mille euro, nonché consentire il cosiddetto “saldo e stralcio” dei debiti verso l’Erario non superiori a 3mila euro; al di sopra di tale soglia, occorre dare al contribuente la possibilità di regolarizzare la propria posizione pagando la quota capitale del debito, con sanzioni minime del 5% e senza interessi, con possibilità di accedere a una rateazione a 10 anni.
Non vogliamo condoni. Vogliamo, però, che chi intende regolarizzare la propria posizione con il Fisco possa farlo pagando tutto il dovuto, con sanzioni minime e in tempi congrui. Chi ha debiti attuali o potenziali con il Fisco, in qualunque stadio e fase del rapporto tributario, ma non ha potuto onorarli – vista anche la crisi di liquidità provocata dalle emergenze sanitaria ed economica – potrà rimettersi in bonis pagando per intero le imposte dovute (con possibilità di rateizzare il proprio debito in un lasso temporale di 5 anni), senza, però, l’aggravio di sanzioni troppo spesso inique e sproporzionate e che dovranno essere ridotte al minimo (5%). Insomma, si paga tutto ma con la “regola del 5”: 5% di sanzioni e 5 anni per pagare.
Queste misure serviranno, da un lato, ad alleggerire famiglie ed imprese dal peso schiacciante delle pendenze accumulate e, dall’altro, a garantire nuovo gettito per le casse dello Stato. Solo così si possono eliminare le tensioni che caratterizzano il rapporto contribuente-Fisco, realizzando una vera “tregua fiscale”.
Come fare, invece, a rimettere ordine tra i crediti del magazzino dell’Agenzia delle Entrate? Tenuto conto che più della metà delle somme attualmente stoccate al suo interno sono inesigibili e che, ogni anno, l’Agenzia è in grado di riscuotere appena il 6-7% di quelle esigibili, l’attività di riorganizzazione sarà impegnativa. Bisogna procedere per gradi, avviando una ricognizione analitica, cosiddetta “due diligence”, delle somme iscritte dal 2000 ad oggi per arrivare all’annullamento automatico di tutti i crediti irrecuperabili. Non uno stralcio casuale, bensì la cancellazione dei carichi realmente inesigibili. Quando l’attività di riordino del suo magazzino sarà terminata, l’Agenzia delle Entrate potrà concentrarsi unicamente su coloro che continueranno a sottrarsi al corretto pagamento delle imposte, dando effettività alla lotta contro l’evasione e distendendo i rapporti con i contribuenti.
FOCUS RAPPORTI TRA FISCO E CONTRIBUENTI
Come enunciato anche nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), è “auspicabile (…) un’opera di raccolta e razionalizzazione della legislazione fiscale in un testo unico, integrato e coordinato con le disposizioni normative speciali, da far a sua volta confluire in un unico Codice tributario. Così si realizzerebbero misure volte a favorire la semplificazione del sistema e l’attuazione della certezza del diritto”. La nostra proposta è la riunificazione della complessa disciplina normativa della materia tributaria in un unico codice composto da tre libri: il primo, dedicato agli schemi generali di applicazione di tutti i tributi (controlli, accertamento, riscossione, sanzioni), in cui far confluire anche lo Statuto dei diritti del contribuente, che potrebbe essere elevato a norma di rango costituzionale; il secondo, riservato agli aspetti sostanziali dei singoli tributi; il terzo, relativo al processo tributario.
La nostra proposta riguarda anche la riorganizzazione delle agenzie fiscali in tre soggetti: Entrate, Dogane e Monopoli, Demanio e Territorio e Riscossione.
L’attuale assetto, con l’Agenzia delle Entrate, Agenzia del Demanio, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, e l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, risulta eccessivamente frastagliato e disorganico e le riforme attuate nel corso degli ultimi anni non hanno fatto altro che accentuare tali disfunzionalità.
A latere di questa riorganizzazione, l’interpretazione delle norme fiscali, da rendere mediante circolari, interpelli e risposte a istanze di consulenza giuridica, dovrà essere affidata al Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia (soggetto più vicino al piano legislativo). Ciò, allo scopo di separare il ruolo di controllore dei corretti comportamenti fiscali, spettante all’Agenzia delle Entrate, da quello di interprete della disciplina fiscale, da attribuirsi al Ministero.
Anche la riforma del contenzioso fiscale non è più procrastinabile. Costituisce un intervento imposto dal Pnrr, nonché già oggetto di un disegno di legge delega del precedente esecutivo, attualmente in discussione al Senato.
Mai come in questa fase storica i giudici tributari sono chiamati a decidere su questioni di grande rilevanza economica, che richiedono elevata professionalità e specializzazione nella materia.
Dal punto di vista dell’ordinamento la nostra proposta riguarda, in primo luogo, la professionalizzazione dei giudici fiscali, i quali dovranno essere reclutati per pubblico concorso, al pari di quanto avviene nelle altre magistrature. Le Commissioni tributarie dovranno, poi, essere svincolate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, affidando la relativa gestione e organizzazione ad un organismo terzo, come la Presidenza del Consiglio dei ministri, e creando un Consiglio Superiore della Magistratura Tributaria, con poteri direttivi e disciplinari sui magistrati.
Da un punto di vista sostanziale, nell’ottica di una maggiore parità delle armi tra Fisco e contribuenti dovrà prevedersi, ad esempio, nella fase precontenziosa, una generalizzata estensione dell’obbligo del contraddittorio preventivo, oltre all’introduzione, senza limitazioni, della prova testimoniale nel giudizio tributario.
Vanno poi riscritte alcune disposizioni che creano un eccessivo sbilanciamento a favore dell’Amministrazione finanziaria nell’ambito del procedimento tributario, quali, ad esempio, la riscossione provvisoria in pendenza di giudizio, almeno fino all’esito del primo grado. Nella logica di evitare un eccessivo sbilanciamento della fase di accertamento/contenzioso tributario, è prioritario superare o, comunque, graduare l’attuale meccanismo di provvisoria esecutività degli accertamenti: una sorta di “presunzione di colpevolezza”, in virtù della quale – in attesa di un giudizio definitivo – il contribuente è costretto a versare provvisoriamente alle casse dello Stato una parte consistente delle somme contestate dall’Agenzia delle Entrate, con evidenti ripercussioni di ordine finanziario sulla sua attività, anche qualora dovesse poi risultare vincitore all’esito del contenzioso.
Va rivista anche l’intera disciplina delle sanzioni tributarie, così da renderle più eque e più proporzionate.
Attualmente le sanzioni per violazioni tributarie sono, generalmente, di importo compreso tra il 90% e il 180% dell’imposta contestata. In altri casi (si pensi agli accertamenti in materia di IVA), è prevista una duplice sanzione (quella per infedele dichiarazione e quella per omesso versamento) con un evidente eccesso punitivo a carico del contribuente, esposto ad un rischio sanzionatorio addirittura maggiore rispetto all’imposta contestata (fra il 110% e il 220%).
La nostra proposta è quella di rimodulare le sanzioni tributarie, in modo da garantirne la proporzionalità rispetto alle violazioni, discriminando unicamente le condotte fraudolente o simulate, nelle quali il contribuente intende sottrarre artificiosamente gettito all’Erario.